“Non mi sono mai chiesto perché scattassi delle foto, in realtà la mia è una battaglia disperata contro l’idea che siamo tutti destinati a scomparire. Sono deciso ad impedire al tempo di scorrere. È pura follia (Robert Doisneau)”
…e fu così che iniziai a fotografare!
Ero appena un adolescente quando la “Yashica” ed io ci prendemmo per mano, la prima volta: forse perché nelle mie fantasie di allora una macchina fotografica si accompagnava sempre ad uno sguardo curioso ed inquieto come il mio, o forse perché gli eventi che contano sono quelli che proprio non sapresti spiegarti, ma la faccenda fra noi andò che per mano ancora ci teniamo!
Non i tratti ariosi e tessili del disegno che pure mi incantarono da bambino, non la musica con le sue melodie e le cattedrali armoniche su esse costruite a cui pure dedicai tanto tempo durante la mia giovinezza. È la fotografia quell’arte con la quale mi è stato più naturale e spontaneo darci del tu.
E non è stato scontato!
Per seguire fini che paiono indecifrabili, anche con il senno di poi, ad un certo punto della mia vita, presi le cose necessarie e diressi per l’Urbe, piazza Fontana di Trevi, in quel dedalo dove il pittoresco si intreccia con la sorte. Il lavoro di addetto informatico alla Mondadori andava bene, bene per i miei superiori, bene per i clienti dello store, bene nella opinione dei miei…
Ma il mio animo scalpitava contro la vita di quei giorni, sicuri, troppo!
E le dimissioni furono l’unico agire.
Perché raffigurare per mezzo della luce il multiforme della vita, o anche cercare una forma visibile che possa, ad un modo, esprimere quel mondo interiore che nella luce non è, mi spinse nuovamente a sperimentare quel vivere che doveva essere per me, da prima di me.
Il viaggio è un luogo dove il nuovo e il diverso sono all’orizzonte: muovere verso essi e non cingerli mai, ma nel mentre si dispiega il mondo in sella ad un moto, quando non a piedi, zaino in spalla.
Bevo vino rosso perché quello bianco mi dà alla testa, birra scura e il rhum quando voglio brindare con gli amici.
Amare la vita è amare le cose infinite della vita: cosí scriveva in una delle sue lettere al fratello Theo, Vincent Van Gogh.
Ho percorso le cime dell’arco alpino, con tutti i suoi passi, e sotto l’aurora boreale d’Islanda mi sono accampato.
Ho visto le verdi distese d’Irlanda e ho sostato sotto il muro del Pianto.
Ho vagato senza meta tra le strade di Katmandu e le affascinanti architetture di Gaudi.
E mi sono abbandonato al sereno ineffabile nelle terre dei mari del Sud.
Nel comfort di uno studio fotografico o in giro per le strade del mondo fotografare, alla fine, è solo un pretesto.
Rubare al sole la gioia di vivere è la fantasia che ogni scatto mette a fuoco, fuori e dentro di me.